Pubblicato su Politica Domani Num 31 - Dicembre 2003

Nuove vie del petrolio
La guerra strisciante dietro l'oleodotto
L'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyahn dovrebbe portare il petrolio dal Caspio al Mediterraneo senza passare per la Russia. La guerra continua e la posta in gioco, come ai tempi della guerra fredda, è il dominio sul mondo. Ma ora si gioca a suon di miliardi e di guerre vere; e i giocatori sono in aumento

di Maria Mezzina

Manca, per ora solo l'Azerbaijan all'onore delle prime pagine dei media nostrani (stampa e TV). Quanto avviene in quel paese al confine con Russia, Georgia, Armenia e Iran, sulle rive del Caspio, appartiene ancora - forse ancora per poco - a quel mondo della non-notizia, dove vivono i non-popoli. Quelli di cui non si parla perché non fanno notizia, almeno finché non accade qualcosa che colpisce gli interessi dei grandi del mondo. L'Azerbaijan è un fazzoletto di terra grande quanto un terzo dell'Italia che si affaccia sul mar Caspio, relitto di un relitto (l'ex impero sovietico), è finora rimasto ai margini degli eventi internazionali. Finora, perché su questa terra, come sulla Georgia e sulla Turchia si sta combattendo una guerra strisciante per il controllo del greggio fra Stati Uniti e Russia, o meglio, fra Stati Uniti e la futura Unione Europea allargata ad est con la Russia.
Dal 1994, almeno, all'Azerbaijan sono interessate le grandi compagnie petrolifere che cercano di convogliare verso il Mediterraneo il greggio proveniente dalle regioni del Caspio senza passare per la Russia o l'Iran. Baku-Tbilisi-Ceyahn (BTC) è il nome del progetto, e del consorzio che lo promuove. Un enorme oleodotto che attraverserà l'Azerbaijan, la Georgia e la Turchia.
Georgia e Turchia hanno occupato ripetutamente le prime pagine di giornali e telegionali. La prima, conquistata l'indipendenza da Mosca, da una delle regioni più ricche e prospere dell'ex impero sovietico, è diventata un paese dove miseria e corruzione dilagano; un paese avviato, ora, verso un dopo Chevarnaze denso di incognite. La seconda è stretta fra la tradizionale alleanza con gli USA, la popolazione che non approva l'appoggio del governo agli Stati uniti nella guerra in Iraq, e gli attentati terroristici che ne fanno, ora, da inevitabile corollario.
Il progetto prevede lo sfruttamento delle risorse petrolifere del mar Caspio ed il loro trasferimento in occidente verso il Mediterraneo, attraverso il BTC, il quale sarebbe anche affiancato dal gasdotto del sud del Caucaso (SCP). Lo sfruttamento dei giacimenti avrebbe una durata di 40 anni e assicurerebbe il trasporto di petrolio per 21 milioni di dollari al giorno.
La BP (British Petroleum), che è impegnata nel consorzio con una quota del 30% ed è, con la SOCAR (compagnia petrolifera statale della Repubblica dell'Azerbaijan, partecipazione al 25%), uno dei partner di maggioranza, aveva pensato all'inizio a un diverso tracciato per l'oleodotto. L'attuale tracciato prevede il passaggio attraverso paesi politicamente e socialmente molto instabili e ad alto rischio, e, quindi, non è economicamente vantaggioso. Le due compagnie hanno modificato il vecchio tracciato in quello attuale, dietro le pressanti insistenze di Washington e dopo aver ottenuto assicurazione di cospicui finanziamenti a fondo perduto. I finanziamenti dovranno essere erogati dalla Banca Mondiale, dalla BERS (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo) e da altre agenzie di credito, per un totale di 1,5 miliardi di dollari, per un progetto stimato ora di circa 3 miliardi di dollari. Anche la SACE, agenzia export italiana, ha assicurato il proprio contributo.
Gli accordi stipulati fra il consorzio BTC e i governi dei paesi intressati al passaggio dell'oleodotto sono formulati in modo da riversare sui paesi ogni responsabilità in caso di incidenti o di attacchi agli impianti. Gli accordi (Host Government Agreements) sono vincolanti a livello internazionale e non sono emendabili dai futuri governi. Essi piegano all'equilibrio economico del progetto quanto di meglio uno stato possa deliberare per il benessere dei propri cittadini in termini di qualità della vita: le leggi di protezione ambientale, sociale e del lavoro e le leggi a tutela dei diritti umani.
Gli accordi pongono in questo modo una pesante ipoteca sull'ingresso futuro di questi paesi nell'Unione Europea. Un consistente pezzo in meno (o, certamente, parecchie difficoltà in più) per l'Europa che con la presenza di questi paesi si proietterebbe, forse troppo, in direzione delle regioni più ricche di risorse energetiche, pericolosamente vicina al Medioriente e alla Cina.
Però, nonostante i vincoli degli accordi siano un problema per l'ingresso in Europa dei tre paesi, i governi che fossero decisi ad entrare nella grande famiglia UE potrebbero comunque trovare il modo per superarli. Un impedimento insormontabile sarebbe, invece, uno stato di guerriglia permanente che portasse alla destabilizzazione sociale, economica e politica di quei paesi.
E qui si affacciano due possibili scenari.
Nel primo scenario, la costruzione dell'oleodotto, con l'entrata di capitali stranieri e la creazione di lavoro capace di assorbire mano d'opera locale, potrebbe portare a condizioni di benessere economico in grado di creare sviluppo e stabilità nei paesi interessati al passaggio del BTC. È quanto risulta da sperimentate teorie economiche, applicate in passato a paesi che ora sono entrati a far parte del numero dei paesi sviluppati.
L'altro scenario tiene conto della disponibilità dei popoli ad accettare una situazione di cambiamento radicale della loro vita, tiene conto della loro percezione del rapporto vantaggi/svantaggi che un tale progetto determinerebbe e della loro capacità di reazione. Alla base stanno la conoscenza della cultura del luogo, degli eventi storici e dei comportamenti passati. Il risultato di questo conto è nettamente negativo perché nelle regioni dove dovrebbe passare il BTC ci sono stati conflitti e tensioni mai risolti. Alcuni sono solo latenti ma sono pronti ad esplodere. Lo è il conflitto fra Armenia e Azerbaijan sulla regione del Nagorno-Karabakh, abitata prevalentemente da Armeni. Lo è la tensione interna alla Turchia, dove la guerra in Iraq e l'attuale situazione irachena hanno deteriorato i rapporti già tesi fra la popolazione e il governo. Il paese è investito da fuochi incrociati: la guerriglia irachena tesa a colpire gli alleati USA con gravissime azioni di terrorismo suicida, la ripresa delle ostilità del popolo Curdo (più del 30% delle regioni di Ardahan e Kars, a maggioranza curda, sono interessate al passaggio dell'oleodotto) e la ripresa dell'attività terroristica del PKK.
Di fronte alla crescente opposizione delle popolazioni i governi locali stanno adottando il metodo del "pugno di ferro" e della "tolleranza zero": vengono chiuse le associazioni non violente che, per ragioni di impatto ambientale, si oppongono alla costruzione del BTC e sono imprigionati i loro leaders. Questo esaspera ancora di più la gente che vede nell'operazione una prevaricazione, ancora una volta, dei paesi e della gente più ricca ai danni dei più poveri.
Uno stato di guerriglia è quanto di meno economico e di più devastante si possa immaginare e, normalmente, spinge i paesi promotori e sostenitori del progetto a recedere o a pensare ad alternative possibili. A meno che non siano altri gli interessi di questi paesi. Fanno infatti pensare gli accordi di cooperazione militare che dopo l'11 settembre 2001 Georgia, Azerbaijan e Turchia hanno stretto con gli USA: gli accordi riguardano finanziamenti per l'acquisizione di armi e la presenza di truppe militari nella zona, la creazione di unità speciali addestrate da ufficiali USA e il controllo dello spazio aereo. Fa pensare soprattutto la vicinanza di queste regioni alle frontiere della Cina. Fanno pensare la ripresa degli esperimenti sugli armamenti atomici (le bombe nucleari a bassa intensità), e l'enorme budget destinato dal Governo USA alla difesa (500 miliardi di dollari).
Che tutto questo sia per combattere il terrorismo, un nemico invisibile ed evanescente che molto più facilmente si può debellare con un buon lavoro di intelligence, sembra un pretesto piuttosto che un motivo. Molto più concreto e reale è invece il pericolo di crescita ad est dell'Europa e il suo rafforzamento sulla scena mondiale. Molto più temibile ancora sarebbe la crescita della Cina, specie se avvenisse insieme alla crescita dell'Europa. Tutto molto più temibile, perché negli Stati Uniti il debito pubblico continua a crescere e il pericolo di un'implosione economica disastrosa per tutti diventa sempre più reale.

 

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