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Il mondo mediterraneo Alberto Foresi Parlare del Mediterraneo obbliga ad affrontare
il problema di Roma, della sua civiltà e della sua eredità.
Oltre alle superbe rovine sparse un po' ovunque, sia sulla costa che
nell'interno, le sopravvivenze del suo patrimonio culturale e delle
sue istituzioni costituiscono uno degli elementi principali delle civiltà
europee e di quelle che ad esse si sono ispirate. Ne è testimonianza la cultura giuridica
che, grazie all'opera di sintesi e di riorganizzazione promossa nel
VI secolo da Giustiniano, dopo un periodo di oblio in Occidente durato
sino all'XI secolo -in tale arco di tempo la tradizione giuridica romana
sopravvisse principalmente grazie al precedente Codice Teodosiano-,
verrà nuovamente studiata nelle Università, in primo luogo
a Bologna, e su di essa si formerà il pensiero giuridico e politico
moderno. È, infatti, a studiosi di Bologna che il Barbarossa,
nel 1158, affidò l'incarico di compilare l'elenco dei suoi diritti
regali. La sede papale stessa trasse profitto dalle dottrine giuridiche
romane, sia pure utilizzando un apocrifo quale il cosiddetto Constitutum
Constantini, redatto tra il 761 e l'816 nel monastero romano di S. Silvestro
in capite, allora dimora di monaci orientali sfuggiti alla persecuzione
iconoclasta bizantina, documento la cui autenticità fu già
negata dall'imperatore Ottone III, e successivamente comprovata dall'umanista
Lorenzo Valla. L'eredità romana si concretizza
appieno in età medievale nell'ideologia imperiale, di derivazione
ellenistica, e nell'unità politica, generante la pax Augusta,
che lo stato romano ha saputo dare al coevo mondo civile, unità
che era senza dubbio conseguenza del suo espansionismo ma che nondimeno
sapeva tutelare e valorizzare le singole componenti presenti al suo
interno. Non tenendo conto di questi due aspetti risulterebbe di difficile
spiegazione il corso di tanti eventi della storia del Mediterraneo medievale.
È infatti il desiderio di ricostituire nella sua interezza l'impero
romano che spinge Giustiniano ad intraprendere la sua opera di riconquista,
diretta prima verso il regno africano dei Vandali, con capitale Cartagine,
e successivamente verso il regno goto d'Italia, che sarà riunito
a Costantinopoli, dopo una devastante guerra ventennale, nel 554 con
la promulgazione della Pragmatica Sanctio. Unità ricostituita
a prezzo di immani distruzioni e innumerevoli lutti, ma pur sempre punto
di partenza, nell'ottica imperiale, per una nuova fioritura dello splendore
romano, per una rinnovata età dell'oro. L'opera di Giustiniano è stata spesso
giudicata negativamente, ritenuta miope, anacronistica ed effimera,
sia dal punto di vista bizantino, poiché indeboliva l'Impero
nella volontà di espandere il suo dominio in regioni ritenute
divenute ormai periferiche o addirittura ad esso culturalmente e linguisticamente
estranee, sia dal punto di vista occidentale, ritenendosi piuttosto
allora auspicabile la continuazione della politica cassiodorea mirante
al connubio fra Goti e Latini. Il dispendio umano ed economico causato
dalla guerra gotica e dal successivo tentativo di respingere la calata
dei Longobardi aveva infatti scoperto il fronte balcanico, consentendo
agli Avaro-Slavi una facile penetrazione fino alla Grecia. Nondimeno,
la distruzione del Regno goto d'Italia e del suo rilevante potenziale
bellico, dimostrato dalla strenua resistenza opposta alle truppe imperiali
condotte da Belisario e Narsete, facilitò la stessa invasione
longobarda. E, al fine di comprendere che i fenomeni mediterranei sono
spesso la conseguenza di più ampie dinamiche storiche, è
opportuno ricordare che gli Avari, spostandosi verso la Pannonia, furono
anche i responsabili della migrazione longobarda verso la nostra penisola.
Ciò, tuttavia, appare a noi chiaro in virtù della nostra
conoscenza del successivo svolgersi dei fatti: agli occhi di Giustiniano
niente di tutto questo era ovviamente prevedibile o, eventualmente,
controllabile con la consueta abilità diplomatica che sempre
caratterizzò il governo bizantino o tramite l'elargizione di
titoli onorifici e tributi.
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Num 19 Novembre 2002 | politicadomani.it
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