Pubblicato su Politica Domani Num 15/16 - Giu/Lug 2002

La Jihad in Italia
La spedizione di Ibrahim II ibn Ahmad
Un evento trascurato nella storia d'Italia

Alberto Foresi

La presenza arabo-islamica in Italia ha sempre costituito un fatto marginale nella storia nazionale. Con l'unica eccezione della Sicilia, conquistata progressivamente dagli Arabi tra l'827 e il 902 e ad essi sottomessa fino alla conquista normanna, gli insediamenti islamici nella penisola costituirono eventi effimeri, quali gli emirati di Bari, Tropea, Amantea e Santa Severina - in Calabria - o la colonia saracena del Garigliano. Organismi di breve durata, scarsa incidenza sulla cultura, l'arte e la cultura materiale, che ebbero quale unico fine il costituire punti di partenza o basi logistiche per le varie incursioni che si abbatterono ripetutamente sull'Italia.
Almeno in una circostanza, tuttavia, l'Italia corse il concreto pericolo di essere conquistata dalle armate islamica, circostanza purtroppo ignorata dalla divulgazione storica. Agli inizi del X secolo l'emiro aghlabita di Ifriqiya Ibrahim II Ibn Ahmad, lasciato l'emirato al proprio figlio Abu al Abbas, richiamato dalle sanguinose ma forse inconcludenti scorrerie che costui andava compiendo tra Sicilia e Calabria, partì dall'Africa al fine di continuare la Guerra Santa portando rapidamente a termine la conquista dell'isola. La conquista si concluse il 1 agosto 902 con l'espugnazione di Taormina, ultimo presidio bizantino nell'isola, i cui abitanti furono in parte uccisi, in parte catturati e venduti come schiavi. Ma tale conquista costituiva solo la prima parte del ben più ambizioso progetto dell'emiro, che voleva distruggere Roma e Costantinopoli, principali simboli, ai suoi occhi, della fede cristiana. Egli, sbarcato in Calabria, cominciò una campagna di conquista volta all'espugnazione di Roma ed all'abbattimento della sede pontificia, per dirigersi poi, nelle sue intenzioni, verso Costantinopoli e debellare l'Impero romano d'Oriente. La campagna non mancò di seminare immediato terrore tra la popolazione del Meridione, al punto che, come ricorda il coevo cronachista partenopeo Giovanni Diacono, a Napoli fu abbandonato e distrutto il Castrum Lucullanum - corrispondente all'attuale Castel dell'Ovo - e il monastero di S. Severino che ivi sorgeva, al fine di non concedere al nemico, in caso di assedio, una piazzaforte di estrema importanza strategica. L'avanzata di Ibrahim II lungo la Calabria non incontrò particolare resistenza e, ai primi d'ottobre del 902, egli giunse ad assediare Cosenza, i cui abitanti, rinchiusi nel locale castello, mandarono degli ambasciatori per intavolare trattative, probabilmente finalizzate alla concessione da parte dell'emiro della giziah (tributo di sottomissione); trattative che furono negate dall'emiro, il quale, come già aveva fatto in passato, mirava alla distruzione della fortezza. Ma la fatalità aleggia comunque sulla volontà umana e Ibrahim, che sembrava non trovare ostacoli sul campo, colpito da dissenteria, morì durante l'assedio della città.
"Aveva già addosso la malattia (che lo trasse a morte), cioè una dissenteria. Gli eserciti musulmani, che assediavano la città, combattevano debolmente, non vedendo seco l'emiro. Egli stanziava in disparte, tutto solo, torturato dal morbo, nè poteva chiudere gli occhi al sonno, finché, venutigli i singhiozzi, spirò la notte del sabato, diciassette di du 'al qa'dah dell'anno 289 (23 ott. 902). I savi dell'esercito deliberarono unanimi di affidare il comando dell'esercito ad 'Abu Mudar, figliuolo di 'Abu al Abbas Abd Allah (nipote dunque di Ibrahim) al fine di mantenere in buon ordine la gente e in sicurtà i tesori e le salmerie, finchè l'esercito non arrivasse in Africa presso il suo padre. Composto il cadavere di Ibrahim in una bara, lo riportarono in Africa e lo seppellirono ad Al Qayrawan: che Dio abbia misericordia di lui." [trad. Michele Amari] Con queste suggestive parole lo storico arabo Ibn al Athir descrive la morte dell'emiro. Morte che è comunque narrata, sia pur con diverse cause, anche nelle fonti storiche latine e greche, ad ulteriore testimonianza della cosciente percezione del pericolo allora incombente sulla Cristianità: nella tradizione bizantina, infatti, l'emiro morì in virtù delle preghiere del santo calabro-greco. Elia il Giovane; per Giovanni Diacono grazie ad un miracolo compiuto da S. Pietro, vaticinato da una pioggia di stelle visibile in quei giorni.

Bibliografia essenziale:
Michele Amari, "Biblioteca arabo-sicula", Loescher, Torino-Roma, 1880 [ristampa anastatica 1982].
F. Gabrieli, U. Scerrato, "Gli Arabi in Italia", Scheiwiller, Milano 1979

 

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