Pubblicato su Politica Domani Num 11 - Febbraio 2002

Una riflessione amara
DOPO LE BOMBE
Il non senso delle strategie di guerra

Simona Ottaviani

Non si sa dove sia Bin Laden. E neppure che fine abbia fatto il Mullah Omar.
Pare che qualcuno stia iniziando a chiedersi che senso abbia avuto bombardare l'Afghanistan, un paese distrutto dall'Unione Sovietica e ora raso al suolo dalla "lotta al terrorismo internazionale".
Intanto i telegiornali continuano a mostrarci le montagne di questo paese battute palmo a palmo, cunicoli sotterranei inclusi, ma dei due grandi registi dell'attacco alle Torri Gemelle di New York neppure l'ombra. Da Kabul e dalle altre città afgane arrivano immagini di una distruzione e di una povertà raccapriccianti, di occhi di bambini, di donne e di anziani sconvolti, disorientati e stremati a quanto ci dicono le organizzazioni non governative che cercano di portare un po' di sollievo ai profughi.
Eppure qualcuno questo lo aveva previsto, e non parlo di maghi o di stregoni ma di persone che hanno sempre creduto nella pace come unica soluzione a qualunque tipo di problema, primo fra tutti Giovanni Paolo II. Qualcuno aveva detto prima dell'attacco anglo-americano che non si sarebbe cavato un ragno dal buco e che coloro che avrebbero pagato sarebbero stati, come sempre, i più poveri. E se qualcuno si chiedeva, parlando ad alta voce: "Se le bombe intelligenti fanno anche solo un morto tra i civili che differenza c'è tra queste e i kamikaze? Tutt'e due uccidono persone innocenti!", questo qualcuno veniva accusato di essere amico dei terroristi.
È vero, è stato sovvertito il regime dei Talebani ma ciò sarebbe potuto avvenire anche in altro modo. Nell'intervista pubblicata su questo giornale (PD n.8-9), Gianandrea Gaiani diceva che alle guerre di religione non crede più nessuno e che l'Afghanistan è un paese ricco di petrolio e uno dei più grandi produttori di oppio del pianeta. Forse sarebbe bastato togliere il sostegno economico a questi "studenti del Corano" e il regime talebano sarebbe caduto lo stesso, forse un mese più tardi, ma sarebbe comunque stato sconfitto.
Ora la domanda che mi pongo è questa: come facciamo a non sentirci responsabili di questa situazione? Come abbiamo fatto a non accorgerci delle condizioni inumane in cui vivevano quelle persone? Dove erano e cosa facevano i mezzi di comunicazione? Perché certamente la situazione era nota, ma nessuno l'ha resa di pubblico dominio. Personalmente non credo che tutti abbiano girato la testa dall'altra parte facendo finta di non vedere: l'UNICEF, la FAO, Emergency, Amnesty International, tutte le organizzazioni che si battono per i diritti umani, sono sempre state lì, presenti. È possibile che nessuno abbia dato loro la possibilità di denunciare quanto stava accadendo? O forse ci hanno provato a dire che le cose non stavano andando per il verso giusto, ma i mezzi di comunicazione non hanno ritenuto che la notizia potesse fare audience più di tanto.
Immagino Bin Laden e il Mullah Omar che scorrazzano per l'Afganistan su una Harley Davidson con una bandiera americana come bandana, in barba a quei poveri soldati che corrono loro dietro.

 

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Num 11 Febbraio 2002 | politicadomani.it