Pubblicato su politicadomani Num 103/104 - Giugno/Luglio 2010

Istituzioni fuori della mischia
La situazione italiana nella relazione del Governatore Draghi
Con la consueta lucidità e pacatezza, l’allarme ragionato dei massimi vertici della Banca D’Italia

 

Quelli che seguono sono alcuni passi tratti dalla relazione del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi fatta in occasione della presentazione della Relazione Annuale presentata il 31 maggio alla Assemblea Ordinaria dei Partecipanti

La sfera sociale
Una ripresa lenta accresce la probabilità di una disoccupazione persistente. Questa condizione, specie se vissuta nelle fasi iniziali della carriera lavorativa, tende ad associarsi a retribuzioni successive permanentemente più basse. La riforma del mercato del lavoro va completata, superando le segmentazioni e stimolando la partecipazione.
[…]
I giovani non possono da soli far fronte agli oneri crescenti di una popolazione che invecchia. Né sarà sufficiente l’apporto dei lavoratori stranieri. Solo 36 italiani su 100 di età compresa tra 55 e 64 anni sono occupati, contro 46 nella media europea, 56 in Germania.

La sfera economica
Nel biennio 2008-09 il PIL è sceso in Italia di 6 punti e mezzo, quasi metà di tutta la crescita che si era avuta nei dieci anni precedenti. Il reddito reale delle famiglie si è ridotto del 3,4 per cento, i loro consumi del 2,5. Le esportazioni sono cadute del 22 per cento. L’incertezza dilagante e il deteriorarsi delle prospettive della domanda hanno indotto le imprese a ridurre gli investimenti, scesi del 16 per cento. L’incidenza della Cassa integrazione guadagni sulle ore lavorate nell’industria è salita al 12 per cento alla fine del 2009. L’occupazione è diminuita dell’1,4 per cento; il numero di ore lavorate del 3,7.

I fallimenti d’impresa sono stati 9.400 nel 2009, un quarto in più rispetto all’anno precedente. Stanno soffrendo soprattutto le imprese più piccole, spesso dipendenti da rapporti di subfornitura. Le aziende che avevano avviato processi di ristrutturazione prima della crisi hanno retto meglio l’urto; oggi presentano le prospettive migliori; secondo l’indagine periodica della Banca d’Italia, esse prevedono per il 2010 un aumento del fatturato superiore di 3 punti a quello di imprese simili non ristrutturate. Tra le imprese industriali con 50 e più addetti che hanno investito in ricerca e sviluppo nel triennio precedente la crisi, l’aumento previsto del fatturato è di oltre il 6 per cento.
[…]
Il Governo italiano ha ribadito l’obiettivo di ridurre il deficit al di sotto della soglia del 3 per cento del PIL nel 2012; ha confermato l’impegno al raggiungimento del pareggio di bilancio su un orizzonte temporale più esteso; ha anticipato la definizione delle misure correttive per il biennio 2011-12. Secondo le valutazioni ufficiali, gli interventi recentemente approvati dal Consiglio dei Ministri determinano una riduzione del disavanzo tendenziale pari a 24,9 miliardi nel 2012; riguardano le principali voci di spesa, si concentrano sui costi di funzionamento delle amministrazioni. La manovra mira a portare la crescita della spesa primaria corrente al di sotto dell’1 per cento annuo nel biennio 2011-12, determinando una riduzione della sua incidenza sul PIL di oltre due punti. Negli ultimi dieci anni la spesa è cresciuta in media del 4,6 per cento l’anno, aumentando di quasi 6 punti in rapporto al PIL. Quindi è necessario un attento scrutinio degli effetti della manovra per garantire il conseguimento degli obiettivi.

La struttura finanziaria dell’Italia presenta molti punti di forza. La ricchezza accumulata dalle famiglie è pari, al netto dei debiti, a quasi 2 volte il PIL nella sola componente finanziaria, a circa 5 volte e mezzo includendo le proprietà immobiliari, livelli fra i più alti nell’area dell’euro. Sempre in rapporto al PIL, i debiti delle famiglie sono fra i più bassi dell’area, quelli delle imprese sono inferiori alla media. Il debito netto verso l’estero dell’intera economia può essere stimato al 15 per cento del PIL, fra i valori più bassi nell’area, escludendo la Germania che ha una forte posizione creditoria.

L’evasione fiscale
L’evasione fiscale è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga; riduce le risorse per le politiche sociali, ostacola gli interventi a favore dei cittadini con redditi modesti. Il cuneo fiscale sul lavoro è di circa 5 punti superiore alla media degli altri paesi dell’area dell’euro, il prelievo sui redditi da lavoro più bassi e quello sulle imprese, includendo l’Irap, sono più elevati di 6 punti. Secondo stime dell’Istat, il valore aggiunto sommerso ammonta al 16 per cento del PIL. Confrontando i dati della contabilità nazionale con le dichiarazioni dei contribuenti, si può valutare che tra il 2005 e il 2008 il 30 per cento della base imponibile dell’IVA sia stato evaso: in termini di gettito, sono oltre 30 miliardi l’anno, 2 punti di PIL.

Il Governo ha introdotto misure di contrasto all’evasione fiscale. L’obiettivo immediato è il contenimento del disavanzo, ma in una prospettiva di medio termine la riduzione dell’evasione deve essere una leva di sviluppo, deve consentire quella delle aliquote; il nesso fra le due azioni va reso visibile ai contribuenti.
Relazioni corruttive tra soggetti privati e amministrazioni pubbliche, in alcuni casi favorite dalla criminalità organizzata, sono diffuse. Le periodiche graduatorie internazionali collocano l’Italia in una posizione sempre più arretrata. Studi empirici mostrano che la corruzione frena lo sviluppo economico. Stretta è la connessione tra la densità della criminalità organizzata e il livello di sviluppo: nelle tre regioni del Mezzogiorno in cui si concentra il 75 per cento del crimine organizzato il valore aggiunto pro capite del settore privato è pari al 45 per cento di quello del Centro Nord.

La sfera politica
In molte altre occasioni abbiamo affrontato il tema delle riforme strutturali. La crisi le rende più urgenti: la caduta del prodotto accresce l’onere per il finanziamento dell’amministrazione pubblica; i costi dell’evasione fiscale e della corruzione divengono ancora più insopportabili; la stagnazione distrugge capitale umano, soprattutto tra i giovani.
[…]
Il federalismo fiscale deve aumentare l’efficienza nell’uso delle risorse. Solo un vincolo di bilancio forte, accompagnato dalla necessaria autonomia impositiva, può rendere trasparente il costo fiscale di ogni decisione e responsabilizzare i centri di spesa. La definizione dei costi e dei fabbisogni standard a cui saranno commisurati, con la necessaria componente di solidarietà, i trasferimenti statali dovrà fare riferimento alle migliori pratiche; ciascun ente dovrà mantenere il proprio bilancio in pareggio, al netto degli investimenti, come previsto dall’articolo 119 della Costituzione; l’ammontare complessivo della spesa locale per investimenti andrà fissato per un periodo pluriennale, in coerenza con gli obiettivi di indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche. Proseguendo lungo le linee tracciate per le regioni con disavanzi sanitari, è opportuno rafforzare il sistema di vincoli e disincentivi per gli enti che non rispettano le regole.

 

Le origini

La Banca d'Italia viene istituita con la legge n. 449 del 10 agosto 1893, dalla fusione di quattro banche: la Banca Nazionale del Regno d'Italia (già Banca Nazionale degli Stati Sardi), la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio d'Italia e dalla liquidazione della Banca Romana in seguito al c.d. scandalo della Banca Romana. Con una serie complessa di fusioni fra queste banche, si forma quella che diventerà l'attuale Banca d'Italia.
La moneta del Regno aveva pochissime riserve auree; con l'annessione del sud avrebbe ricostituito una massa di riserve tale da poter emettere molta nuova moneta, con la politica di non tenere una piena convertibilità fra l'oro e la moneta dello stato piemontese. Infatti, il Banco di Napoli e il Banco delle due Sicilie disponevano di una quantità ingente di riserve auree da incamerare.

 

Homepage

 

   
Num 103/104 Giugno/Luglio 2010 | politicadomani.it