Pubblicato su politicadomani Num 103/104 - Giugno/Luglio 2010

Il 2010 è l’anno internazionale della biodiversità
L’interdipendenza necessaria, fra biodiversità e progresso
È dello scorso settembre la presentazione di un disegno di legge di iniziativa parlamentare sulla tutela della biodiversità in Italia. La discussione in Parlamento e l’approvazione della legge aiuterebbe non solo a conservare il nostro ricchissimo patrimonio agroalimentare e faunistico ma anche a tutelare lo sviluppo sostenibile del territorio e a promuovere l’economia locale

dalla Relazione alla Proposta di legge

Il 2010 è stato proclamato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) “anno internazionale della biodiversità”. Secondo l'ONU la diversità biologica deve essere tutelata e preservata in quanto pilastro delle civiltà e testimonianza diretta dell'evoluzione del pianeta. Negli ultimi decenni, tuttavia, lo sviluppo delle attività produttive umane ha inciso profondamente sul patrimonio ecologico mondiale determinando una drammatica riduzione della varietà delle forme viventi e degli ambienti e la semplificazione dei paesaggi. Il sovra-sfruttamento delle risorse naturali e le alterazioni dell'ambiente rappresentano oggi uno dei più impellenti problemi su scala mondiale, che richiedono il coinvolgimento sia degli scienziati sia l'iniziativa privata e degli organi di governo. Conservare la natura e la diversità biologica è presupposto indispensabile per uno sviluppo sostenibile.
Ad aggravare ulteriormente la situazione si aggiungono meccanismi di brevettazione che consentono la costituzione di diritti di proprietà sul materiale vivente in grado di limitare ulteriormente l'accesso alle risorse genetiche, minacciando la sottrazione alla comunità di importanti fonti di ricchezza, sia biologica sia culturale.
Con la proposta di legge presentata si vogliono rafforzare e promuovere le politiche a difesa delle risorse genetiche autoctone, mettendo a punto strumenti normativi atti a scongiurare il rischio di erosione genetica, salvaguardare il diritto di proprietà delle comunità locali sulle razze e sulle varietà, quali espressioni del territorio e del suo patrimonio economico, sociale e culturale e quali veicoli di valorizzazione territoriale e sviluppo economico locale, sostenere e sollecitare attività di valorizzazione e promozione dello sviluppo locale legato alla biodiversità agraria.
Il patrimonio nazionale di prodotti agricoli e alimentari relativi al settore agro-alimentare rappresenta infatti una delle maggiori ricchezze che accomuna tutte le realtà territoriali del nostro Paese. Si tratta di numerose produzioni che hanno raggiunto, negli anni, elevati standard di qualità e che hanno ottenuto riconoscimenti certificati sia a livello nazionale che comunitario. Questo comparto, proprio in virtù di tali caratteristiche, assume quindi una duplice importante valenza: da un punto di vista finanziario, tra i primi per prodotto interno lordo come diretta espressione del “made in Italy”, esso è un modello trainante dell'economia italiana in stretta sinergia con altri settori come lo sviluppo turistico, il commercio o l'artigianato.
L'altro fondamentale aspetto riguarda la crescita virtuosa e sostenibile dei piccoli centri: dal 99 per cento dei comuni di piccole dimensioni, dove risiede peraltro oltre la metà della popolazione nazionale, proviene infatti la maggior parte dei prodotti tipici certificati e pregiati.
Queste produzioni tradizionali, espressione diretta spesso di zone tradizionalmente marginali, svolgono un ruolo insostituibile di presidio territoriale, a partire dalla valorizzazione e dalla preservazione di un bacino vasto di conoscenze e di varietà genetiche che costituisce, in questi ambiti, una parte di assoluto rilievo nella preservazione delle identità delle comunità locali nonché nella salvaguardia, nella manutenzione idrogeologica e nella conformazione armoniosa del paesaggio agrario stesso. Conservare e promuovere gli ecotipi, le razze autoctone e le metodiche tradizionali di lavorazione significa, quindi, anche assicurare un futuro a quei contesti rurali di grande pregio ambientale, in particolare di collina e di montagna, spesso altrimenti destinati all'abbandono e alla disgregazione sociale. È in questo panorama di risorse e di tradizioni che emerge la necessità impellente, da parte del legislatore, di non disperdere, bensì di recuperare e di preservare questo patrimonio di biodiversità con un ordinamento di livello nazionale capace di incentivare, coordinare e ricondurre ad un sistema avente gli indirizzi internazionali nonché le norme già emanate in materia da alcune regioni.
L'assenza di interventi strutturali di programmazione e di promozione sul comparto agro-alimentare rischia di causare non soltanto la mancata piena realizzazione delle sue potenzialità di sviluppo ma evidenzia, già oggi, segnali di criticità che stanno emergendo in tutta la loro gravità.
Un riferimento in questa direzione riguarda oggi i noti rischi di contraffazione, ma anche di pirateria genetica: nel solo mercato degli Stati Uniti d'America, ad esempio, il valore dei prodotti alimentari italiani contraffatti risulta pari alle vendite dei prodotti originali, una problematica che è stata affrontata con risultati non ancora soddisfacenti nell'ambito delle trattative internazionali. Sulla pirateria e sull'inquinamento genetico solo pochi Stati al momento hanno provveduto a normare.
Vale poi la pena di ricordare la complessa questione dei prezzi dei prodotti alimentari e, in particolare, della loro oscillazione, che ha contribuito in questi anni, attraverso il processo di industrializzazione di buona parte dell'agricoltura, a colpire le piccole produzioni agricole attraverso una forte concorrenza dei prodotti agricoli provenienti dalle forme intensive.
Inoltre, il patrimonio autoctono che caratterizza le produzioni tradizionali, può essere soggetto ad una particolare forma di erosione che si determina con l'appropriazione brevettuale di genoma da parte di privati e di grandi aziende del settore biotecnologico, senza considerare che queste stesse varietà rappresentano prima di tutto un deposito di consuetudini e di conoscenze sviluppato e tramandato nei secoli dalle comunità locali.
In questo contesto deve anche essere affrontato il problema della coesistenza tra forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica. A questo riguardo, nonostante alcuni tentativi, esiste di fatto un pericoloso vuoto normativo.
L'industrializzazione dell'agricoltura e la spinta alla massima produttività delle colture hanno richiesto la selezione e la diffusione di cultivar uniformi e standardizzate sia a livello delle loro sementi che del loro metodo di coltivazione. Le nuove varietà così costituite hanno velocemente soppiantato le numerose varietà locali esistenti. Per esempio, si stima che alla fine del secolo scorso in Italia esistessero oltre quattrocento varietà di frumento, mentre nel 1996 solo otto varietà di frumento duro costituivano l'80 per cento del seme. Quest'evoluzione ha probabilmente rafforzato l'agricoltura ma ha impoverito la qualità del nostro regime alimentare, con la conseguenza che molte varietà locali sono trascurate ed esposte al rischio di estinzione. Dati altrettanto preoccupanti emergono anche in relazione alle razze animali a rischio. Risulta infatti che un mammifero europeo su sei è a rischio di estinzione a causa, soprattutto, della perdita di habitat, dell'inquinamento e dello sfruttamento intensivo.
Va poi considerato un altro aspetto non marginale: un'azione efficace di promozione dei prodotti e delle varietà locali appare oggi auspicabile anche in relazione alle nuove politiche perseguite dall'Unione europea, che punta ad una riorganizzazione complessiva delle denominazioni di origine e che oggi ha aperto un dibattito sul futuro della politica agricola europea. È questo un processo che porterà inevitabilmente a un periodo di vuoto normativo, causato dai processi di applicazione delle nuove disposizioni, e che dovrà essere colmato da una sinergica e strutturata legislazione in materia di carattere nazionale.
Alcune regioni (Toscana, Lazio, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Marche, Emilia Romagna, con leggi specifiche; Campania, Veneto e Liguria, con leggi collegate al tema della biodiversità) da anni hanno legiferato in materia di tutela delle risorse genetiche autoctone anche con specifiche leggi regionali che hanno riguardato essenzialmente l'individuazione delle risorse, la loro caratterizzazione morfologica e genetica, la conservazione e la valorizzazione. Progetti specifici sono stati inoltre realizzati su particolari territori per il recupero di vecchie cultivar di fruttiferi e di specie erbacee. A tale fine sono stati realizzati programmi interregionali specifici sulla biodiversità e progetti territoriali o di sviluppo locale attraverso il coinvolgimento di agricoltori interessati alla conservazione e alla valorizzazione delle varietà locali. E per questo sono stati istituiti alcuni strumenti normativi collegati sinergicamente tra loro: i registri regionali; la banca regionale del germoplasma; i coltivatori custodi; la rete di conservazione e sicurezza.
L'Italia è, tra i Paesi del Mediterraneo, uno dei più ricchi in varietà locali, soprattutto orticole e frutticole, ma anche in varietà cerealicole e foraggere, oltre che in varietà animali. Per ognuna delle specie di appartenenza occorre individuare e mettere a punto la migliore strategia di conservazione in situ ed ex situ e di reintroduzione sul territorio in caso di rischio di estinzione. Accanto alle leggi regionali è fondamentale che si definiscano le linee guida generali nazionali atte a fornire un sostegno tecnico ai soggetti preposti alla tutela delle risorse genetiche a rischio di estinzione al fine di consentire una gestione unitaria e uguali standard nelle strategie di conservazione e di valorizzazione nel rispetto delle specificità territoriali. Linee guida che scaturiscono da precise attribuzioni legislative che individuano nello Stato il soggetto promotore di funzioni specifiche in materia di coordinamento delle attività relative all'attuazione della Convenzione sulla biodiversità fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 e resa esecutiva dalla legge 14 febbraio 1994, n. 124. L'accordo di Rio ha richiesto ai paesi firmatari di sviluppare piani e programmi per la conservazione della biodiversità e per l'uso sostenibile delle risorse e ha definito le politiche principali per un'efficace conservazione ex situ e in situ della biodiversità, indicando alle singole nazioni una serie di obiettivi sulla base dei quali è necessario elaborare opportune strategie.

 

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