Nicola Mancino
Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura

 

Nicola Mancino, è il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, dopo una vita spesa in politica. Le sue origini sono umili: nato nel 1931 a Montefalcone, in provincia di Avellino, padre ferroviere e madre casalinga, tirando un po' la cinghia è arrivato alla laurea in Giurisprudenza e all'esercizio della professione di avvocato. Ma il giovane Mancino, agli inizi degli anni '60, aveva già deciso di legare il suo futuro alla politica e allo scudo crociato.

Dopo una gavetta di una decina d'anni in provincia di Avellino, Mancino è stato per due volte presidente della regione Campania. Poi, nel 1976, il grande balzo con l'elezione al Senato nelle liste democristiane. Da allora è sempre stato rieletto. Trent'anni esatti, vissuti nelle aule e nei corridoi di Palazzo Madama. Mancino ha guidato il gruppo della Dc al Senato durante gli anni '80, quelli dello scontro con Bettino Craxi. Con il crollo della prima Repubblica, ha partecipato alla nascita del Partito Popolare e poi della Margherita. Come tutti gli ex democristiani ha qualche nostalgia per il passato, ma ha accettato il bipolarismo e la collocazione dei cattolici democratici (così si sono sempre definiti quelli della sinistra democristiana) nello schieramento progressista.

La sua carriera politica gli ha regalato diverse soddisfazioni. Era lui il ministro dell'Interno, nel 1993, quando fu arrestato il superboss della mafia Totò Riina. Da responsabile del Viminale ha legato il suo nome al decreto che istituiva il reato di istigazione al razzismo. La legge Mancino ha portato alla chiusura di numerose associazioni neofasciste, tra le quali «Meridiano zero».
Dopo la vittoria del centrosinistra alle elezioni del 1996, è stato eletto presidente del Senato, carica che ha conservato fino al termine della legislatura, nel 2001. Anni caldi, segnati dal fallimento della Bicamerale, dalla caduta del governo di Romano Prodi, dall'arrivo di Massimo D'Alema a Palazzo Chigi, sostituito poi da Giuliano Amato. Mancino, fedele alle sue convinzioni e alle sue abitudini (tra le quali l'immancabile mezza spremuta di pompelmo consumata quotidianamente alla buvette di Palazzo Madama) è stato un presidente disponibile al dialogo ma nemico degli «inciuci». Sotto la sua presidenza è stata approvata la riforma del titolo V della Costituzione.

Dopo la sconfitta elettorale del 2001, Mancino ha perso la battaglia per diventare capogruppo della Margherita al Senato (gli fu preferito il prodiano Willer Bordon). Ha allora interpretato il ruolo di «padre nobile» del centrosinistra: il suo caratteristico vocione si è fatto sentire in aula soprattutto durante la battaglia contro la riforma della Costituzione voluta dalla Casa delle Libertà. Dopo le elezioni del 2006, confermato al Senato, è stato candidato come membro laico del Consiglio superiore. Sul suo nome si è registrata la convergenza dei voti dei membri del CSM per la successione a Virginio Rognoni come vicepresidente dell'organo di autogoverno della magistratura. La sua candidatura conferma l'esistenza di un “grande centro” moderato trasversale ai due poli di cui egli è forse l'esponente più autorevole e più riconosciuto.

[Fonte: www.ilsole24ore.com]

 

Homepage

 

   
politicadomani.it